Torri, case di caccia e giardini: alla scoperta della maestosa Villa Gattini, il "castello" di Matera
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giovedì 13 febbraio 2025
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di Marina Alfieri - foto Fabio Voglioso
Il suo nome rimanda a una famiglia storica lucana, quella dei Conti Gattini. La stirpe fu originata da Teodoberto, nato nel 994. Uno dei suoi figli, Oreste, prestò servizio come capitano sotto il re Enrico I in Francia e come retribuzione per il recupero di alcuni territori fu nominato governatore di Gatinois, una regione conquistata. Da qui il nome che verrà utilizzato per identificare per sempre il nucleo familiare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tra il XVIII e il XIX secolo i discendenti di Oreste eressero questa villa come simbolo della potenza della dinastia, facendone la loro residenza estiva. Ma nel 1860 il conte Francesco Gattini fu ucciso dal popolo che rivendicava le terre demaniali di cui i latifondisti locali si erano impossessati. A seguito della sua morte la tenuta venne quindi divisa tra una multitudine di eredi e anche di massari che nel corso del tempo l’avevano gestita. Smembrata in tante piccole parti la dimora perse così pian piano il suo prestigio e anche oggi giace parzialmente inutilizzata, pur conservando la sua antica bellezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo quindi andati a visitare Villa Gattini, accompagnati da alcuni degli attuali proprietari: Giuseppe Cappiello, Damiano Gaudiano, Michele Fontana, Bruna Ponte, Francesco e Annunziata Cirillo. (Vedi foto galleria)
Per visitare il luogo imbocchiamo da Matera la provinciale n.6 che conduce a Gravina in Puglia. Dopo qualche centinaia di metri giriamo a sinistra per una viuzza chiamata contrada Parco Gattini che ci porta davanti alla villa. Ed ecco apparirci in tutta la sua maestosità il “castello”, che si innalza con le sue quattro possenti torri in pietra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci avviciniamo all’entrata: un grande portone in legno inserito in un arco a tutto sesto ribassato su cui troneggia lo stemma in pietra calcarea dei Gattini, ovvero un gatto con una vipera in bocca e una corona.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’accesso è inserito in un corpo di fabbrica caratterizzato da spigoli evidenziati da spaccatelle di calcarenite sfalsate. La struttura comprende anche una chiesetta con un campanile a vela, in questo momento oggetto di lavori di restauro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Diamo un’occhiata alla cappella. Il piccolo ambiente è spoglio, presenta una volta a botte e una parete chiusa da un arco a tutto sesto occupata da un grazioso altare. Quest’ultimo ha il fronte decorato da tarsie marmoree policrome di pregiata fattura ed è sormontato da una teca vuota. Prima che cominciassero i lavori qui era accolta una statua in cartapesta di Santa Fara, a cui la chiesa è dedicata.
Usciti dal tempio e superato un antico forno in pietra, ci portiamo sul lato destro della villa, per ammirarla in tutta la sua imponenza. La costruzione è realizzata in muratura di conci di calcarenite con colori che vanno dal giallo senape al rosso pompeiano. È di pianta rettangolare con un piano terra costituito da arcate cieche e locali di servizio. Le quattro torri di forma circolare, munite di feritoie, svettano oltre la linea del tetto abbellite con motivi cuspidali e un coronamento definitivo a greca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una scala monumentale permette l’ingresso al piano nobile: è fiancheggiata da una leggiadra balaustra con colonnine in terracotta smaltate di colore verde brillante. Balaustra che si svolge lungo tutto il primo piano formando dei ballatoi sui quali si aprono delle finestre rettangolari. Una balconata della stessa fattura è infine posta al livello del tetto girando per tre dei quattro lati.
«La villa fu edificata in due periodi ben distinti – sottolineano le nostre guide -. Un primo nucleo, il piano rialzato, venne realizzato nel 1758 dal maestro Martemucci. Il suo ampliamento avvenne invece nel secolo successivo su progetto dell’architetto Michele Acito. Fu allora che vennero creati il piano nobile, i ballatoi e le torri angolari».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci portiamo ora davanti alla facciata posteriore dell’edificio, che ha come particolarità due finestre circolari. Ai suoi piedi si trova una struttura bianca che accoglieva un tempo le stalle.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraverso un cancello prima e un portone poi entriamo in un ambiente con un’alta volta a botte dove è possibile notare ancora le mangiatoie per le mucche. La stanza ha però perso il suo carattere rurale ed è oggi utilizzato come magazzino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il lato destro della villa è speculare a quello opposto e presenta alla base il vecchio frantoio trasformato in abitazione da Michele Fontana, che ne ha conservato le volte alte con i conci di calcarenite a vista.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ritorniamo ora al punto di partenza per accedere all’interno di Villa Gattini. Ci viene aperto il portone e, superato un adrone, percorriamo la scala monumentale a due rampe esterna che ci conduce al piano nobile, diviso oggi in due appartamenti. «La spartizione - sottolinea Damiano Gaudiano - ha comportato lo smembramento del salone delle feste».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
All’interno è comunque ancora presente il pavimento originario. In un corridoio si presenta con mattoni in cotto montati a spina di pesce, mentre nella cucina è con tozzetti di cotto. Quest’ultimo ambiente conserva un bel camino e un pozzo ancor funzionante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Usciamo e tramite il ballatoio raggiungiamo una porticina in legno che ci conduce in una delle quattro torri, all’interno della quale una scala a chiocciola porta alla parte superiore. «Le volte delle torrette – ci indica Damiano - sono tutte caratterizzate da tuboli: laterizi particolari, cilindrici, cavi dentro e bucati da una parte che servivano a migliorare l’isolamento termico e ad alleggerire le volte».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da una porticina usciamo sul camminamento esterno che unisce le quattro torri. Ci ritroviamo così ad affiancare una balaustra in pietra che conserva ancora tracce di colorati vasi di ceramica. Ci fermiamo ad ammirare lo splendido panorama che conduce lo sguardo fino alle colline di Timmari e Picciano, mentre le nostre guide ci indicano i confini dell’esteso feudo di 60 ettari della villa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Durante l’ultima guerra – ci raccontano i proprietari – in questa edificio si insediarono prima i Tedeschi e poi i Polacchi e gli Americani. La sua posizione strategica e le sue torri difensive erano infatti perfette come luogo di avvistamento».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Scendiamo dalla torre per ritornare ancora una volta al punto di partenza. Oggetto della nostra visita saranno ora due pertinenze di Villa Gattini che si trovano nel giardino della dimora.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci avviciniamo quindi a un cancello posto di fronte alla cappella che presenta la scritta “Villa Carolina”. «È il nome della moglie di Giuseppe Gattini, uno dei figli del conte Francesco, che ereditò questa parte della tenuta», ci spiega il signor Cirillo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Superiamo quindi l’entrata per immergerci in una vasta area verde percorsa da un viale che ci conduce in una zona affascinante, caratterizzata da colonne, basamenti, capitelli e zone di sosta in pietra calcarea, il tutto tra alberi di ulivi e piante ben curate. Sembra di essere in un sito archeologico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Tutta questa superficie era occupata dalle peschiere – ci dice Francesco -: si trattava di vasche dove si tenevano i pesci per l’allevamento o per ornamento o che contenevano acqua destinata all’irrigazione. Un luogo utile ma che i Gattini utilizzavano per passeggiare, conversare e rilassarsi».
L’area è conclusa da un piccolo e grazioso edificio contraddistinto da archi murati sormontati da un frontone all’interno del quale, in una nicchia, è posta la statua di San Michele.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraverso un passaggio scavato nella roccia raggiungiamo infine l’ultima tappa del nostro viaggio: il casino di caccia, curato da Bruna Ponte. Passiamo quindi in questo inusuale tunnel sulla cui parete è incisa la frase latina Lassis Quies (“Stanco riposa”), per giungere davanti a una costruzione neoclassica dai colori bianco e rosa. L’edificio, sorvegliato da due statue in ceramica di levrieri, è contraddistinto da due scale simmetriche che si uniscono sul pianerottolo d’ingresso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È arrivato ora il momento di andare via. Avviandoci verso l’uscita guardiamo però con più attenzione una foto del 1945 che abbiamo tra le mani: ritrae i soldati polacchi posti su una collinetta a guardia della tenuta. Decidiamo quindi di salire su questa altura per avere la stessa visuale impressa nell’immagine. E in un attimo ci ritroviamo ad ammirare dall’alto la magnifica Villa Gattini: un castello solitario immerso nella natura della Basilicata.
(Vedi galleria fotografica)
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